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venerdì 17 giugno 2011

17 giugno

Dopo un'intensa settimana trascorsa in aula, con la mia ragazza, a scrivere la recensione del libro "Land grabbing" di Stefano Liberti (Minimum Fax, 2011) e a incontri politici si ricomincia con i
post di questo diario tedesco-orientale.

Inevitabile riprendere dall'anniversario odierno dell'evento-chiave avvenuto nel 1953: l'insurrezione operaia del 17 giugno. Il 16 giugno, in risposta alla decisione della SED di aumentare la produzione a parita' di salario (in pratica, drastica riduzione degli stipendi e/o aumento del saggio di sfruttamento), scioperi spontanei scoppiano nei cantieri edili di Berlino Est (in particolare sulla Stalinallee, oggi Karl-Marx-Allee). Il giorno successivo i moti si estendono piu' di 500 citta' e villaggi della Germania Est con scioperi, manifestazioni di piazza, occupazioni di edifici pubblici e parole d'ordine contro i nuovi minimi del cottimo e a favore di cambiamenti politici.
Le autorita' di occupazione sovietiche reagiscono il 17 giugno con la proclamazione dello stato di eccezione, una violenta repressione e il ritiro de facto del provvedimento incriminato.

Le conseguenze dell'insurrezione sui rapporti di forza tra regime e lavoratori nelle decadi successive sono ben descritte nel saggio di Jeffrey Kopstein (1996) "Chipping Away at the State: Workers' Resistance and the Demise of East Germany", World Politics, 48(3). Interessanti documenti sulla rivolta sono consultabili a questo link.

Le risposte delle autorita' della DDR e della BRD (ancora formalmente occupate dalle quattro potenze vincitrici della seconda guerra mondiale e prive di sovranita' legale: la fine dell'occupazione avverra' nel 1954, il riconoscimento reciproco dello status quo e l'accesso all'ONU nel 1973) alla sorprendente dimostrazione di protagonismo operaio furono un condensato di smaccate falsificazioni ideologiche: la prima ne minimizzando' l'entita' e la diffamando' come "provocazione fascista" e "tentativo di putsch controrivoluzionario"; la seconda la dichiaro' "insurrezione popolare" (=Volksaufstand, e non insurrezione operaia = Arbeiteraufstand) e festivita' nazionale con il nome di "giorno dell'unita' tedesca". Meglio fece Bertolt Brecht nella sua celebre ed ironica poesia Die Lösung (1953):
"Dopo la rivolta del 17 giugno / il segretario dell'Unione degli scrittori / fece distribuire nella Stalinallee dei volantini / sui quali si poteva leggere che il popolo / si era giocata la fiducia del governo / e la poteva riconquistare soltanto / raddoppiando il lavoro. Non sarebbe / più semplice, allora, che il governo / sciogliesse il popolo e /ne eleggesse un altro?" (tr. Roberto Fertonani)

mercoledì 18 maggio 2011

Stasi




Il rapporto di Berlino con il suo passato real-socialista e' difficile. Dal punto di vista urbanistico, il tentativo piu' comune e' quello di fare tabula rasa di cinquant'anni di storia trasformando luoghi od edifici storici in banali centri commerciali (es. Alexanderplatz) o il ricostruzioni kitsch (es. il progetto dello Stadtschloss). Dal punto di vista museale, i progetti ondeggiano tra storiografia scientifica, storia orale, demonizzazione ideologica e un pizzico di ostalgia.

La visita di ieri allo Stasi Museum e al Gedenkstätte Berlin-Hohenschönhausen ha confermato queste dinamiche.
Il Museo della Stasi, situato nel vecchio quartier-generale del Ministerium fuer Staatssicherheit (MfS) abbandonato dopo l'occupazione da parte dei dimostranti il 15 Gennaio 1990, presenta una interessante mostra sul binomio dissidenza-repressione nella DDR. Tutti i vari nuclei di oppositori sono rappresentati equanimemente, dagli operai della rivolta del 17 Giugno 1953 agli emigranti (3.8 milioni), dagli scolari e studenti ai punk, dai celebri dissidenti socialisti (Havenamm, Bahro, Biermann) ai Testimoni di Geova. Il destino di questi ultimi e' particolarmente impressionante. Perseguitati ed internati nei lager dai nazisti, la liberta' riconquistata nel 1945 sara' breve: nel 1950 la loro religione verra' nuovamente vietata e i suoi membri perseguitati in quanto "spie di una potenza imperialista". Grande spazio nell'esposizione e' dato a Felics Dzeržinskij, fondatore della CEKA sovietica per il quale i capi della Stasi provavano grande ammirazione (busti, manifesti, simbologia), e ad Erich Mielke, a capo della Stasi dal 1957 al 1989 (il suo ufficio e' ricostruito con minuzia). Colpisce nelle biografie dei tre uomini-chiave del ministero (Zaisser, Wollweber, Mielke) constatare la deformazione apportata dallo stalinismo al movimento operaio tedesco: tutti e tre rivoluzionari nell'immediato dopoguerra, attivi militanti comunisti nella repubblica di Weimar, combattenti antifascisti in Spagna, resistenti anti-nazisti in seguito e infine ministri incaricati della presecuzione di decine di migliaia di cittadini, prevalentemente per reati di opinione.
Il Monumento Commemorativo di Hohenschoenhausen ricorda invece la principale prigione berlinese della Stasi, dove i sospettati di crimini politici venivano fatti "sparire" e sottoposti a lunghi periodi (fino a 33 mesi!) di torture fisiche e psicologiche per ottenere abiure, confessioni e informazioni - propedeutiche al regolare processo e a pene detentive nei normali edifici carcerari. L'emozionante visita guidata, fornita da un prigioniero politico, tocca i principali luoghi e temi del carcere ("cantine" del periodo di occupazione sovietica, celle, metodi di tortura fisica e psichica, interrogatori, processo, conseguenze individuali e sociali).

Qual e' il problema allora? Il fatto che gli orrori della dittatura nella DDR siano interpretati attraverso le lenti della letteratura sul totalitarismo, allontandoci da una comprensione storica e spingendoci invece verso una demonizzazione ideologica e consolatoria. Piu' che una riflessione autocritica sui vari attori della seconda guerra mondiale e della guerra fredda, quello che viene stimolato e' l'autocompiaciuta superiorita' di "occidentale" su un regime sconfitto.